Organo meccanico orchestrale, da fiera, STRUMENTI E ACCESSORI/ MUSICALI by Gebrüder Bruder (laboratorio)

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Organo meccanico orchestrale, da fiera, bene complesso/ insieme
Organo meccanico orchestrale, da fiera, STRUMENTI E ACCESSORI/ MUSICALI di Gebrüder Bruder (laboratorio) 
Organo meccanico orchestrale, da fiera, STRUMENTI E ACCESSORI/ MUSICALI by Gebrüder Bruder (laboratorio) 
Organo meccanico orchestrale (da fiera, bene complesso/ insieme) 
Organo orchestrale a funzionamento meccanico con lettore pneumatico di cartoni perforati a 57 fori. Modello 107 con 52 chiavi. Dotato di canne di legno ad anima e ad ancia, tamburo, grancassa, piatto. Sul retro in alto è presente un motore che permette a una ruota (prima a movimento manuale e poi modificata ad energia elettrica con cinghia) di azionare la manticeria e il trascinamento del lettore. Il lettore pneumatico è alloggiato sulla parte posteriore. Il retro dell’organo è apribile in due punti per la manutenzione di tutte le sue componenti, le aperture sono a vetro il che consente e facilita il controllo immediato. Il tamburo e la grancassa sono posizionati ai due lati su apposite mensoline. L’organo ha un frontespizio, una facciata lignea decorativa rimuovibile. Presenta tre aperture: quella principale è in corrispondenza del prospetto delle canne, le altre due aperture sono per il tamburo e la grancassa. L’apertura principale presenta un decoro fatto di canne posticce di colore bianco e una lira dorata. Presente anche il numero 5127, numero di serie del modello di frontespizio. Quest’ultimo ha uno sfondo chiaro ed è riccamente decorato, in linea con le caratteristiche stilistiche degli organi di tipo tedesco, con applicazioni lignee di vario tipo dipinte di colore azzurro, giallo, oro, rosa, argento e verdi. Le applicazioni richiamano volute, rami, fiori, foglie, etc…ricordano alcuni aspetti dello stile Decò. Presenti quattro pannelli lignei con dipinti 
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organo meccanico orchestrale da fiera 
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L’organo da fiera è stato a tutti gli effetti uno dei protagonisti delle fiere e dei parchi di divertimento dalla metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento circa. L’organo da fiera era uno strumento particolare perché si configurava come un insieme di strumenti riuniti in un contenitore molto scenografico: ospitava un organo e altri strumenti a percussione, riuscendo quindi, sfruttando i vari registri dell’organo, a produrre una musica di grande effetto che richiamava alla mente, e all’orecchio, un’intera orchestra in azione. La storia dello strumento musicale chiamato organo a canne è molto antica. In estrema sintesi, le fonti storiche ne attestano la nascita nel III° secolo a.C. ad Alessandria. Anche Vitruvio descrive strumenti musicali con un sistema di alimentazione idraulica. Questo funzionamento ad acqua verrà poi nel tempo sostituito da mantici che producono aria. L’ingresso di questo tipo di strumenti nelle chiese è invece riconducibile all’ottavo secolo quando Pipino il Breve collocò un organo, ricevuto in dono dall’Imperatore di Bisanzio, in una chiesa e da allora il legame con le liturgie e la musica sacra fu indissolubile. Un’evoluzione continua del funzionamento dello strumento, attraverso nuovi apporti e migliorie, portò all’introduzione della pedaliera, della tastiera, di registri distinti, etc... Nel 1400 fu inventato il cilindro chiodato mosso a manovella che, applicato all’organo, faceva abbassare i tasti a tempo voluto in base alla posizione dei chiodi. L’Ottocento fu un periodo storico molto fertile per lo sviluppo degli strumenti di musica meccanica: pianole, piano a cilindro, organetti detti “di Barberia” e si consolidò una produzione di organi sempre più grandi e complessi per sagre, fiere, etc... Entrando più nello specifico del bene catalogato, l’organo da fiera, insieme allo strumento noto come orchestrion (che poteva unire anche un pianoforte verticale agli altri strumenti), seppur preceduti da loro antesignani, nacquero entrambi intorno al 1845: Ludovico Gavioli creò a Modena lo Stratarmonico e Michael Welte l’orchestrion. Tra i precursori di questa particolare categoria di strumenti, citati dalle fonti scritte, figura l’organo ideato per la fontana del Quirinale nel 1650 da Athanasius Kircher che includeva anche delle percussioni e molto probabilmente delle trombe. Ludovico Gavioli, figlio d’arte, già all’età di sedici anni aveva costruito un orologio con organo a cilindro dotato di otto musiche. Famoso per i suoi orologi da torre, nel 1838 costruì un enorme automa musicale chiamato David. Grande sperimentatore, divenne l’ideatore indiscusso degli organi da fiera a cilindro chiodato. I suoi strumenti potevano unire all’impianto organistico, a seconda del modello e della commessa ricevuta, vari strumenti quali i piatti, i tamburi, le grancasse, le nacchere e le campanelle. Fondò una ditta di grande successo a Parigi e questo spinse diversi altri artigiani italiani, che eccellevano nell’arte di costruire organi, a seguire il suo esempio, aprendo laboratori in varie capitali europee, come Gasparini in Francia, e la società di Cocchi, Bacigalupo e Graffigna a Berlino. La Germania, in particolare, fu la sede di diverse ditte artigianali di eccellenza che esportavano i loro prestigiosi organi in Europa e negli Stati Uniti: come Bruder, Ruth & Sohn, Frei. Il figlio di Gavioli, Anselmo, continuò la tradizione familiare e fu lui, nel 1892, a introdurre nell’organo da fiera la sostituzione del cilindro chiodato con il nastro perforato per la lettura della musica. Questa invenzione era nata già nel 1840 quando Claude Félix Seytre adattò l’invenzione di Jacquard per la produzione di tessuti con un telaio a schede perforate, a uno strumento di musica automatica, sostituendo il rullo chiodato usato fino ad allora con un cartone o nastro perforato. Fino alla fine dell’Ottocento però gli organi da fiera continuavano ad essere collegati, per la traccia musicale, a un supporto costituito da un cilindro ligneo costellato di chiodi in modo da produrre la sequenza musicale voluta in base alla loro posizione sul cilindro e alla rotazione di quest’ultimo; Anselmo Gavioli utilizzò la lettura di una scheda o nastro perforato in carta dove erano i fori che, a seconda della posizione e della lunghezza, davano il valore e l’altezza della nota e permettendo così allo strumento di ottenere sonorità molto ampie. Un aspetto fondamentale da chiarire è la funzione specifica dell’organo da fiera rispetto all’orchestrion. L’atmosfera di una fiera o di una festa popolare di metà Ottocento era costellata di suoni e persone; ogni esercente di spettacolo itinerante con il suo padiglione, “baracca” o giostra, ogni imbonitore o venditore presente nella piazza, per attirare l’attenzione del pubblico si adoperava in ogni modo: grancassa, orchestrina, trombetta, richiami verbali urlati a gran voce e, nel tempo, si iniziarono ad introdurre anche strumenti meccanici come piani su ruote, organetti portati a spalla, pianoline e grandi organi meccanici per accompagnare i giri in giostra o lo spettacolo proposto (es. la giostra a cavalli, la Calci, il cinema ambulante). L’organo da fiera nasce proprio per soddisfare delle esigenze precise: farsi notare e spiccare in questi frangenti caotici e pieni di concorrenti, doveva creare spettacolo nello spettacolo. Era pensato per produrre musica all’aperto, in un contesto già di suo rumoroso e in competizione con altre fonti sonore e quindi doveva essere imponente, esagerato, esasperare la sua meccanicità. Di solito era di dimensioni piuttosto grandi (alcuni raggiungevano anche i sei metri di lunghezza), aveva una facciata, o mostra, riccamente decorata per essere volutamente appariscente. Una componente non affatto secondaria dell’organo da fiera era proprio la sua spettacolarità estetica: durante l’esibizione, non era solo una questione di bella musica eseguita bene, ma di impressionare con sonorità importanti e caratteristiche stilistiche affascinati, per far fermare il pubblico davanti all’organo, invogliarlo, farlo avvicinare, farlo partecipare, farlo entrare nella baracca o salire sulla giostra. L’orchestrion invece era pensato per un contesto molto diverso: al chiuso, ad esempio una sala da ballo, un caffè, uno spazio più raccolto, meno dispersivo e quindi era pensato per essere più “modesto”, meno irruente, meno appariscente esteticamente. Un ulteriore esempio del forte legame tra gli organi da fiera, pubblico, divertimento e spettacolo è rappresentato dal fatto che si producessero (ad esempio la ditta Marenghi, la ditta Gavioli) i Bioscope: organi con annesso “padiglione delle meraviglie”. Si trattava di un organo da fiera costruito in modo che il pubblico, pagando un biglietto, potesse attraversare la facciata dello strumento arricchita con statue di cera, lanterne magiche, o altri elementi che suscitassero meraviglia o sorpresa; si entrava da un lato e si usciva da quello opposto (esistono alcune immagini di questa tipologia di organo nell’Archivio Nazionale della Fiera e del Circo consultabile dal sito dell’Università di Sheffield) 
L’oggetto catalogato è parte dell’esposizione permanente del Museo Storico della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino ed è stato acquisito nel 2019. Precedentemente l’organo meccanico era compreso nella collezione privata di Carlo Piccaluga. Tale trascorsa appartenenza rappresenta, da un punto di vista antropologico, un aspetto importante della vita sociale dell’oggetto: da strumento, o parte di strumento, di lavoro inerente alla sfera dello spettacolo viaggiante, attraverso un processo di singolarizzazione, si è rivestito di un particolare valore affettivo per il suo rapporto con determinate persone. Inoltre, proprio grazie alle attività di individuazione, raccolta e custodia del collezionista privato è stato possibile che il suddetto bene non venisse distrutto o disperso ma potesse divenire, in una ulteriore nuova fase della sua vita sociale, un importante elemento per la costruzione della narrazione museale. Esposto nella sala dedicata al Parco di Divertimenti tra Ottocento e Novecento, permette, in dialogo con altri oggetti, di restituire al visitatore parte dell’atmosfera, dei personaggi e delle attrazioni che caratterizzavano quel luogo tra i quali sibille, giocatori d’azzardo, giocolieri, castelli incantati, montagne russe, caroselli, organi da fiera, tiri al bersaglio… Carlo Piccaluga era un “viaggiatore”, un esercente di spettacoli viaggianti appartenente a una famiglia piemontese con una lunga tradizione nel settore, in gergo “un dritto”. Pur nell’impossibilità di un confronto diretto con lui (è venuto a mancare nel 2019), la ricerca sul campo presso il Museo ha permesso di ricostruire alcuni aspetti singolari della sua attività di collezionista, attraverso i racconti e le memorie di chi lo ha conosciuto personalmente. Carlo Piccaluga era membro di una delle più antiche dinastie del viaggio che svolgono il loro lavoro tra Piemonte, Lombardia e Liguria. Gli antenati della famiglia (bisnonno e nonno) erano inizialmente pescatori sul fiume Po nella zona di Casale Monferrato. Per integrare il bilancio familiare hanno iniziato l’attività di esercenti di spettacoli itineranti con attrazioni di loro proprietà, divenuta poi il mestiere principale della famiglia. Nato in carovana è sempre vissuto in carovana, uno stile di vita semi nomade che ha influenzato la sua concezione di casa, quotidianità, legame ai luoghi, tempi festivi e tempi del lavoro, libertà. La Sala dei Ricordi nasce nel 1997 a Vigone, in un luogo “fermo”, ma molto amato da Piccaluga perché, nonostante la vita trascorsa in un viaggio senza fine, qui aveva costruito ricordi, amicizie, rapporti duraturi: qui il suo spirito di viaggiatore poteva convivere con una certa stanzialità. La Sala era lo spazio per ospitare oggetti che stava raccogliendo da alcuni anni (nel complesso la raccolta è durata circa quarant’anni), oggetti provenienti dal mondo del Luna Park, del Circo (un contesto di vita parallelo alle fiere e ai Luna Park con cui aveva coltivato rapporti familiari, amicali e di cui serbava cari ricordi), fotografie e documenti (come registri delle spese, richieste di permessi, etc…). Gli oggetti appartenevano alla sua famiglia o erano stati donati, o recuperati perché abbandonati o acquistati ad altri “viaggiatori”. Nelle intenzioni del suo creatore la collezione doveva essere aperta al pubblico per raccontare ai “fermi”, a chi non apparteneva al mondo dello spettacolo itinerante, i “viaggiatori della luna” ma soprattutto, come suggerisce il nome stesso, la collezione doveva preservare il ricordo dei viaggiatori che non ci sono più: amici, colleghi, familiari e custodirne la memoria. Spesso affermava che all’interno della Sala non si dimentica niente, che lì vivevano le persone che non ci sono più. Questo aspetto, il ricordare, secondo i racconti di chi lo ha conosciuto, era profondamente radicato in lui e rivela l’aspetto più riflessivo della collezione e della scelta dei pezzi: non tanto la bellezza, la rarità dell’oggetto ma la sua capacità di rappresentare le generazioni passate a quelle future, di raccontare. Nella Sala dei Ricordi lui in primis, ma anche altri viaggiatori dello spettacolo, potevano ricordare altri colleghi grazie alla mediazione di alcuni oggetti che li rappresentavano. Un organo da fiera, un burattino, una macchinina dell’autoscontro diventavano espressione di quel determinato viaggiatore o della sua famiglia. Il rapporto tra Piccaluga e il Museo è stato il frutto di una relazione costruita nel tempo e non senza difficoltà. Il Direttore del Museo ha infatti dovuto affrontare e sciogliere alcune frizioni e preconcetti che caratterizzavano i rapporti fra i “dritti”, gli esercenti con una lunga tradizione nel campo dello spettacolo viaggiante e gli esercenti di Bergantino, arrivati sulla “piazza” in tempi più recenti e non considerati dai colleghi “viaggiatori per vocazione di vita” ma solo per scelta lavorativa, rimanendo, in qualche modo, legati alla loro terra di origine e desiderosi di ritornare stanziali. La sensibilità sia del Direttore che di Piccaluga ha permesso di cancellare le incomprensioni, evidenziando invece i valori condivisi come il rispetto per i viaggiatori e l’amore verso il loro mondo, instaurando così un rapporto di affetto e stima reciproca. Con il passare del tempo Piccaluga ha iniziato a pensare al futuro della Sala: la consapevolezza che i figli e i nipoti non coltivavano la sua stessa abnegazione nei confronti della collezione lo ha portato a cercare una collocazione diversa. Dato il particolare legame che aveva instaurato con essi, era restio e dispiaciuto all’idea di separarsene ma avendo imparato a conoscere il Museo, le sue attività e la considerazione che il Direttore rivolgeva ai suoi oggetti, è stato possibile far sì che nell’arco di alcuni anni, tra il 2003 e il 2019, diversi oggetti fossero acquisiti dal Museo confluendo nell’allestimento e caricandosi di nuovi significati in relazione agli aspetti storico e antropologici dello spettacolo viaggiante stabiliti nel progetto museologico. Periodicamente, Piccaluga veniva al Museo e rimaneva a guardarli per molto tempo, era come se andasse a trovare degli amici, per continuare a ricordare insieme i “viaggiatori della luna”. Durante il rilevamento, il personale del Museo ha riferito che, durante il restauro, si è notato che il numero di serie presente sulla facciata lignea, n. 5127, differisce da quello presente sulla parte interna dello strumento meccanico vero e proprio. Attraverso un controllo incrociato con testi specifici e immagini dei vari modelli costruiti dalla ditta, è risultato che sia lo strumento che il frontespizio decorativo sono riconducibili inequivocabilmente alla ditta Bruder ma non c’è modo di conoscere per quali motivazioni, e in quale momento della vita sociale del bene, una parte di un modello si sia unita alla parte di un altro. Resta il fatto che la possibilità che un viaggiatore, nel corso della sua attività, abbia dovuto sostituire, ad esempio, la facciata del suo organo da fiera perché danneggiata, unendo due parti di organi della stessa casa produttrice, è piuttosto plausibile. L’organo presentava, al momento al sopralluogo a Vigone, delle luci applicate in epoca successiva per renderlo ancora più appariscente e visibile. Tale rimaneggiamento, non in linea con le componenti originali, è stato rimosso durante il restauro. Esiste però una fotografia a colori, custodita dal Museo, che documenta l’organo a Vigone con le applicazioni di luci poi rimosse. L’organo funziona con l’utilizzo di nastri perforati di epoca più recente rispetto alla datazione dell’organo. Il personale del Museo ha riferito che il collezionista privato, una volta entrato in possesso dell’organo, aveva acquistato una serie di nastri utilizzabili per questa tipologia di organo meccanico. I nastri perforati provengono da una ditta tedesca, di Waldkirch in Germania, stesso luogo di produzione dell’organo, di nome Paul Fleck Söhne Orgelbau, fondata nel 1930 e ancora oggi in attività 
Organo orchestrale a funzionamento meccanico con lettore pneumatico di cartoni perforati a 57 fori. Modello 107 con 52 chiavi. Dotato di canne di legno ad anima e ad ancia, tamburo, grancassa, piatto. Sul retro in alto è presente un motore che permette a una ruota (prima a movimento manuale e poi modificata ad energia elettrica con cinghia) di azionare la manticeria e il trascinamento del lettore. Il lettore pneumatico è alloggiato sulla parte posteriore. Il retro dell’organo è apribile in due punti per la manutenzione di tutte le sue componenti, le aperture sono a vetro il che consente e facilita il controllo immediato. Il tamburo e la grancassa sono posizionati ai due lati su apposite mensoline. L’organo ha un frontespizio, una facciata lignea decorativa rimuovibile. Presenta tre aperture: quella principale è in corrispondenza del prospetto delle canne, le altre due aperture sono per il tamburo e la grancassa. L’apertura principale presenta un decoro fatto di canne posticce di colore bianco e una lira dorata. Presente anche il numero 5127, numero di serie del modello di frontespizio. Quest’ultimo ha uno sfondo chiaro ed è riccamente decorato, in linea con le caratteristiche stilistiche degli organi di tipo tedesco, con applicazioni lignee di vario tipo dipinte di colore azzurro, giallo, oro, rosa, argento e verdi. Le applicazioni richiamano volute, rami, fiori, foglie, etc…ricordano alcuni aspetti dello stile Decò. Presenti quattro pannelli lignei con dipinti 
Bergantino (RO) 
proprietà Ente pubblico territoriale 
Organo meccanico orchestrale 
legno 
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