positivo, Venditore ambulante di caldarroste #scòti# by Famiglia Liliana Fontanella (XX)

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La fotografia fa parte di una raccolta familiare e ritrae Camillo De Pellegrin mentre svolge la sua attività di venditore di caldarroste durante la stagione invernale a Monza. 1970 circa
positivo, Venditore ambulante di caldarroste #scòti# by Famiglia Liliana Fontanella (XX) 
positivo, Venditore ambulante di caldarroste #scòti# di Famiglia Liliana Fontanella (XX) 
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La mobilità dei gelatieri bellunesi è sempre stata caratterizzata da un percorso pianificato nei dettagli ben prima della partenza, basato su pratiche collaborative, forti legami intergruppo e finalizzato al raggiungimento di una autonomia lavorativa dopo un primo periodo di acquisizione dell’esperienza necessaria. È una mobilità praticata ancora oggi, perché è stata, ed è, di successo, a differenza di altre forme di migrazione specializzata che hanno interessato gli stessi territori ma non hanno avuto seguito. È una mobilità stagionale che coinvolge una grossa parte del nucleo familiare del gelatiere. Questo ampio coinvolgimento ha un peso importante nella pianificazione della propria vita, nella costruzione degli affetti e nelle relazioni sociali, spesso divise tra due luoghi: quello del lavoro e quello della pausa invernale. Dal XVIII secolo in diverse zone del Bellunese si è stratificata una corrente migratoria diretta verso i principali centri della Pianura Padana, Venezia in primis. Progressivamente si è allargata verso l’Impero Austro-Ungarico, con Vienna come centro di forte attrazione. La mobilità era inizialmente caratterizzata, come in altre zone alpine, per la maggior parte da uomini che migravano nel periodo invernale, dediti a diverse tipologie di lavori specializzati. Circa dalla metà del XIX secolo, nella Valle di Zoldo e in alcune zone del Cadore (es. Zoppè, Valle di Cadore…) si sviluppò una predilezione per una peculiare attività lavorativa: la produzione di alimenti dolci (caldarroste, pere cotte, frutta caramellata, biscotti, in dialetto scòti, percòt, caraméi, zalét) e il loro commercio ambulante organizzato in gruppi di uomini, le “compagnie”. Verso la fine dell’Ottocento iniziò ad affermarsi una nuova opportunità: la produzione e la vendita ambulante di gelato. Non esistono fonti certe su chi fu il primo ad iniziare e da chi imparò questo nuovo saper fare. Molto probabilmente, grazie alle già presenti pratiche di mobilità lontano dai luoghi di origine e alla frequentazione di centri cittadini caratterizzati da un grande fermento culturale, alcuni pionieri vennero in qualche modo in contatto con questa nuova pratica e la fecero propria velocemente. Storicamente è documentato che proprio in questo periodo il consumo di gelato si stava sempre più affermando, uscendo da quel consumo esclusivo da parte di nobili e aristocratici che lo aveva caratterizzato fin dalle sue origini. La potenziale clientela era quindi in espansione e il mercato vasto. Un’ottima opportunità da cogliere che ben si coniugava con le modalità organizzative già consolidate: produzione in un laboratorio, vendita con il carretto ambulante e con le “compagnie”, materie prime e ghiaccio facilmente reperibili nei grandi centri, forte propensione allo spostamento per motivi di lavoro. Il successo ottenuto fu tale che in pochissimo tempo la pratica si diffuse nei luoghi di provenienza di questa prima avanguardia di uomini, alimentando e stimolando sempre più partenze. A Vienna la diffusione era tale che nel 1894 fu emanata una legge che rendeva oneroso il commercio ambulante, ma questa stimolò i gelatieri a diversificare iniziando una attività di vendita fissa: nacquero le prime gelaterie e la concorrenza con i pasticceri locali continuò. Questa nuova modalità di commercio del gelato si diffuse sia all’estero che in Italia, spesso affiancando la vendita con i carretti. La stagione diventò quella estiva anche se molti continuarono a vendere castagne o pere cotte durante l'inverno per integrare il bilancio familiare. L’alta redditività dell’attività portò ad ampliare sempre più le destinazioni non solo in Italia e in Europa ma Oltreoceano, ad esempio in Argentina. Si delineò anche una sorta di “strategia di distribuzione” delle mete: alcune condivise da tutti, come la Germania e l'Ungheria, mentre per altre c’era la tendenza a orientarsi verso una determinata meta, quasi esclusiva, rispetto al singolo territorio di partenza. Questo a causa del passaparola tra abitanti della medesima frazione, alla propensione a costruire gruppi legati da relazioni di amicizia e parentela e per non saturare il mercato. Ad esempio Vienna per la Val di Zoldo e Zoppè; la Boemia, la Polonia, l’Olanda per i Cadorini. La Prima guerra mondiale segnò il declino della diffusione dei gelatieri zoldani e zoppedini in territorio austriaco ma non all'affermazione dell’attività dei gelatieri che ricollocarono le loro attività in altre città italiane o all’estero, soprattutto in Germania. Quest’ultima diventò la meta privilegiata, in particolare dal secondo Dopoguerra, per una serie di diversi fattori favorevoli: contiguità geografica, boom economico, familiarità con la lingua tedesca e tutt’ora è la meta preferita. Dopo il Primo conflitto mondiale i luoghi di provenienza dei gelatieri e la trasmissione del sapere si allargarono progressivamente: non più solo Val di Zoldo e Cadore, ma zone dell’Agordino, Longaronese, Coneglianese, Vittoriese, Trevigiano, dando vita a modalità di saper fare, di rappresentarsi e di comunicarsi condivise e riconoscibili 
La fotografia documenta la doppia attività di Camillo De Pellegrin, nato nel 1908, gelatiere e venditore di caldarroste. Era a Monza negli anni Quaranta vendendo castagne in inverno e gelati d’estate con il suo carretto. Poi la famiglia si spostò in Germania, dove si produceva solo gelato. I racconti familiari però rivelano che Camillo era rimasto molto legato alla città di Monza e al lavoro di venditore di caldarroste. Quindi ogni inverno ritornato dalla Germania, invece che rimanere in valle, ripartiva per Monza: fino al 1988 svolgeva ancora la doppia attività. Suo figlio, Ugo, si sposerà con la compaesana Liliana Fontanella, anch’essa proveniente da una famiglia di gelatieri con l’attività a Luneburgo. Liliana e Ugo, appena sposati, lavorarono per un periodo iniziale nella gelateria della famiglia del marito a Düsseldorf. Rileveranno poi la gelateria della famiglia della moglie nel 1982 circa fino al loro ritiro nel 2006. I figli della coppia, raggiunta l’età scolare, hanno frequentato le scuole in Italia accuditi dai nonni che nel frattempo erano in pensione. I figli raggiungevano i genitori ogni estate collaborando con piccoli lavori compatibili con la loro età e in seguito hanno deciso di proseguire con l’attività. La separazione per diversi mesi dai figli, anche molto piccoli, è uno dei temi più delicati e difficili dell’esperienza di essere gelatieri stagionali all’estero. Le ultime generazioni infatti hanno iniziato a porsi in modo più critico verso questo aspetto e a fare scelte diverse, soluzioni che le generazioni precedenti non avevano mai preso in considerazione, seguendo la strada già segnata dai predecessori, la consuetudine attestata. La figlia Daniela, insieme al marito che aveva già una gelateria in Baviera, è rimasta in Germania fino all’età scolare della figlia per poi rientrare in Italia; il figlio Mauro, gelatiere con la moglie a Ratisbona, resta tutto l’anno in Germania chiudendo l’attività solo per pochi mesi. Mauro, ogni volta che riesce a rientrare in Italia, si stabilisce a Fornesighe, il luogo di origine del padre e del nonno, un luogo, riferisce Liliana, al quale è profondamente legato. I dati di campo sono stati raccolti da Claudia Cottica durante la ricerca etnografica condotta nel 2020-2021 per il Comune di Val di Zoldo-Progetto Museo del Gelato e dei Gelatieri 
La fotografia fa parte di una raccolta familiare e ritrae Camillo De Pellegrin mentre svolge la sua attività di venditore di caldarroste durante la stagione invernale a Monza. 1970 circa 
Venditore ambulante di caldarroste #scòti# 
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