aratro - cultura di Polada (post 2100 a.C. - ante 1980 a.C.)

https://w3id.org/arco/resource/Lombardia/HistoricOrArtisticProperty/2k050-00020_R03 an entity of type: HistoricOrArtisticProperty

aratro - cultura di Polada (post 2100 a.C. - ante 1980 a.C.) 
aratro - cultura di Polada (post 2100 a.C. - ante 1980 a.C.) 
post 2100 a.C.-ante 1980 a.C. 
Come tutti gli aratri, anche quello del Lavagnone si compone di tre elementi: il ceppo-vomere, ovvero il corpo lavorante; la bure, cioè la parte che permette di attaccare lo strumento al giogo, e la stegola, una sorta di timone che consente di guidare direzione e profondità dei solchi. La varietà della forma di queste tre parti e il diverso modo in cui sono connesse tra loro, determinano il tipo di aratro. L'esemplare in esame appartiene al tipo detto "di Trittolemo", con bure e ceppo-vomere in un unico pezzo. Il vomere vero e proprio, che non è stato ritrovato, era anch'esso di legno, inserito in una leggera scanalatura praticata sulla faccia inferiore del ceppo. Anche il giogo è un reperto eccezionale, essendo uno dei più antichi finora scoperti. Lavorato con particolare cura ed eleganza, era agganciato alla stanga per mezzo di legacci fissati ai tre denti presenti al centro della barra, mentre corregge di cuoio, passanti attraverso i fori rettangolari praticati lungo i lati, legavano l'animale al giogo. Un frammento di giogo analogo è stato rinvenuto a Fiavé, nelle Giudicarie trentine, nell'abitato palafitticolo risalente all'inizio della media età del Bronzo. 
aratro 
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L'aratro rappresenta il reperto più straordinario conservato presso il Museo Archeologico di Desenzano. Rinvenuto nel 1978 tra i pali della palafitta del Lavagnone, appartenente alla fase più antica della cultura di Polada (Bronzo Antico iniziale - circa 2100-1980 a.C.). Insieme con quello di Walle, nella Bassa Sassonia, è ad oggi l'aratro più antico e integro conservatosi fino ad oggi: gli aratri preistorici e quelli delle civiltà più antiche, infatti, essendo costruiti interamente in legno, hanno potuto conservarsi soltanto in depositi archeologici con condizioni anaerobiche, quali le torbiere (come appunto quella del Lavagnone). Insieme con l'aratro gli scavi hanno restituito due stegole di ricambio e metà del giogo: i primi due in legno di quercia e il giogo in legno di faggio. In seguito al ritrovamento, i reperti sono stati restaurati presso il Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz. Nel 2013 l'aratro è stato sottoposto a un nuovo intervento di restauro da parte del laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologica della Lombardia. In questa occasione è stato realizzato anche un nuovo supporto per l'esposizione. 
Come tutti gli aratri, anche quello del Lavagnone si compone di tre elementi: il ceppo-vomere, ovvero il corpo lavorante; la bure, cioè la parte che permette di attaccare lo strumento al giogo, e la stegola, una sorta di timone che consente di guidare direzione e profondità dei solchi. La varietà della forma di queste tre parti e il diverso modo in cui sono connesse tra loro, determinano il tipo di aratro. L'esemplare in esame appartiene al tipo detto "di Trittolemo", con bure e ceppo-vomere in un unico pezzo. Il vomere vero e proprio, che non è stato ritrovato, era anch'esso di legno, inserito in una leggera scanalatura praticata sulla faccia inferiore del ceppo. Anche il giogo è un reperto eccezionale, essendo uno dei più antichi finora scoperti. Lavorato con particolare cura ed eleganza, era agganciato alla stanga per mezzo di legacci fissati ai tre denti presenti al centro della barra, mentre corregge di cuoio, passanti attraverso i fori rettangolari praticati lungo i lati, legavano l'animale al giogo. Un frammento di giogo analogo è stato rinvenuto a Fiavé, nelle Giudicarie trentine, nell'abitato palafitticolo risalente all'inizio della media età del Bronzo. 
aratro 
Desenzano del Garda (BS) 
aratro 
proprietà Stato 
legno di quercia 
legno di faggio 

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